venerdì 17 giugno 2011

Lo Zen e l'arte di scrivere online

L'imperatore Wu del Liang chiese al grande maestro Bodhidharma: "Qual è il significato supremo delle sante verità?".
Bodhidharma disse: "Vuote e senza santità".
L'imperatore disse: "Chi mi sta di fronte rispondendomi così?".
Bodhidharma rispose: "Non lo so".

Da questo antico dialogo emerge l'essenza dello Zen, le scuole distaccatesi dal Buddhismo ortodosso giapponese, sulla scia delle scuole cinesi a loro volta ispiratesi proprio al Bodhidharma, il mitico fondatore di questa scuola di pensiero.


  • L'imperatore chiede risposte, Bodhidharma non gliele da.

  • L'imperatore si affida a lui, Bodhidharma lo lascia solo.

  • L'imperatore ha bisogno di etichette, definizioni, Bodhidharma svicola, si scansa.


Il senso è chiaro: non ci sono maestri, non c'è una verità assoluta, nulla è dato per sempre, tutto ciò che troverai - se lo troverai - è lungo il cammino della vita.

Quanto accaduto tra il Buddhismo tradizionale e le scuole Zen si ripete oggi tra la scrittura ufficiale, quella dei libri, delle scuole, delle università, dei professori, e la scrittura online, quella dei siti, dei blog, dei forum, dei social network.

Mentre i primi si presentano come detentori di certezze granitiche, la scrittura in rete è mobile, si adatta, si modifica.


Una speciale tradizione esterna alle scritture
Così il Bodhidharma definisce lo Zen - anche se lui non lo chiamava così - sottolineando il suo carattere di estraneità a quanto ormai era stato fissato con la parola scritta.

Allo stesso modo, in rete si riscrive su tutto ciò che è stato già scritto su carta, riaprendo vecchie questioni per rinverdirle e arricchirle di nuove linfe.

La gente non ti legge - solo - perché tratti un argomento di loro interesse - potrebbero tranquillamente andarsene in biblioteca - ma perché la prospettiva personale dalla quale lo osservi fa apparire loro diverso lo stesso argomento.

È il trionfo dell'individuo sulla categoria.

Non dipendente dalle parole e dalle lettere
Lo Zen non soccombe a quanto scritto, ma continuamente mette alla prova le parole dei sedicenti maestri.

Puntualmente, scopre il vuoto di quelle stesse parole: compito dell'individuo è riempire quel vuoto con la propria esperienza.

Anche in rete è così: tu puoi parlare di giardinaggio o di fusione nucleare, ma per credere alle tue parole il lettore vuole prove della tua esperienza in quel campo.

Non ha bisogno di un'altra persona che scriva di quelle cose, vuole qualcuno che realmente sappia farle e sappia dimostrarlo.

Che punta direttamente al cuore dell'uomo
In realtà, nel testo originale, la parola cuore coincide con la parola mente, noi occidentali invece, grazie a Cartesio, abbiamo imparato quell'orrenda separazione tra le due cose.

Lo Zen mette al primo posto il sentire dell'uomo e cerca di rafforzarlo: se le scritture dicono qualcosa di diverso da ciò che provi, vadano al diavolo.

La scrittura online è personale e confidenziale, non tanto nella forma ma nella vocazione.

Non a caso, la parola tu è la più importante per chi scrive e legge in rete.

Il linguaggio cerca di avvicinare autori e lettori.

Il sentirsi simili e umani è più importante che sentirsi superiori e dotti.

Che vede dentro la propria natura e raggiunge la buddhità
La comprensione della propria mente è l'unico scopo della vita, secondo lo Zen.

Se la conoscenza e l'esperienza non producono la consapevolezza di ciò che - non - siamo, allora quella conoscenza e quell'esperienza saranno un fallimento.

Perché siamo qualcosa di più e di diverso, sempre.

Su Internet si legge, si studia, si parla, ci si conosce, ma tutto questo in fondo è strumentale al conoscere noi stessi.

Io scrivo perché voglio osservare me stesso in ciò che dico.


Tu leggi, e forse scrivi a tua volta, per capirti di più.

E quando ci riusciamo ci sentiamo piccoli Buddha, né particolarmente felici, né del tutto indifferenti: consapevoli.

Un vero commento Zen?


In questo caso è il non commento.

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