domenica 12 ottobre 2014

Attenti al plagio

Questo post nasce dopo aver scoperto che un mio scritto era stato "saccheggiato" e riutilizzato nel sito di Stefano Borghesi, a sua insaputa e a opera di una persona della cui collaborazione spero si sia liberato; ringrazio Stefano per aver riconosciuto subito, con me, l'evidente plagio, e aver immediatamente rimosso il testo sostituendolo con un altro, stavolta di suo pugno. Lascio comunque questo post perché credo abbia ancora senso rispetto al tema del plagio che nella scrittura del terzo millennio, e nell'era del copia e incolla, è sempre attuale.

Che cos'è il plagio?

Si tratta solo di ricopiare esattamente, parola per parola - o nota per nota, immagine per immagine ecc. - un'opera già edita spacciandola per inedita?

O è plagio anche ricalcare un testo, cambiandone - ma neanche più di tanto - i termini, la struttura sintattica, le misure?

E soprattutto, si può ancora definire frutto di plagio un testo che ripete gli stessi contenuti di un altro, le sue stesse definizioni - non nelle parole, ma nella semantica - o si deve considerare lecito?

Di solito, quando scrivo post su questo mio blog cerco di fornire risposte e soluzioni a chi vuole scrivere.

Ma stavolta mi trovo sguarnito, posso solo prendere atto di quanto è successo, e rimandare la palla a chi vorrà leggere e riflettere.

Io ritengo di essere stato plagiato.


Non che la cosa mi urti più di tanto, di mestiere faccio l'educatore, la mia missione nella vita è aiutare gli altri a crescere, per cui se questo signore ha avuto bisogno di appoggiarsi a me per scrivere il suo pezzo in fondo vuol dire che è servito a qualcosa.

Però un po' te le fa girare, e non solo quando riprende a specchio le mie parole - perché lì ti cadono semplicemente le braccia - ma soprattutto quando, in evidente apnea di idee, usa le mie immagini, le mie metafore, le mie allegorie, la mia retorica.

E la retorica è una cosa seria, come tutti i classicisti - io lo sono - sanno bene.

La retorica è l'anima della scrittura, checché ne dicano i cosiddetti nativi digitali che predicano di scrivere come si parla (che poi anche quella è retorica).

La retorica è seria perché emana dalla tua storia, dalla tua formazione, da ciò che hai letto, scritto, detto, ascoltato, dalle relazioni che hai intrecciato, dagli scambi che hai avuto.

Dalla persona che sei.

E che persona sei, se adotti la retorica di un altro?

Il post in questione riguardava un evento gastronomico, tenutosi nel mese scorso, sul quale ho scritto e pubblicato un post il giorno successivo.

Datato una settimana dopo, ecco invece il post che salta in groppa al mio.

(Come già spiegato in testa al post, il proprietario del sito, Stefano Borghesi, ha subito provveduto a eliminare il testo copiato e pubblicato in maniera ingannevole da una persona che oggi mi auguro, e gli auguro, non sia più di sua fiducia)

Giudicate voi.

Io parlo di incontro insolito, lui a incontro sostituisce connubio, ma quando definisco mente creativa quella dell'inventore della serata in questione, il mio clone non può far altro che copiare pedissequamente mente creativa.

Ogni tanto la mia ombra riprende le distanze, così quando io dico uno chef di questa caratura lui ribatte con uno chef del suo calibro, e al posto di sicuramente uno degli eventi fondamentali dell'anno replica con sicuramente uno degli appuntamenti più importanti dell'anno, ma poi di nuovo in affanno mi duplica la parola passeggiata per definire il percorso.

Mi sto tenendo basso, lo so, e qualcuno dirà che sono maniaco, ma non ha ancora visto niente.

Ora non sto a sottolineare ogni singola operazione in carta carbone del signor blogger, perché altrimenti mi ci vuole un post in dieci volumi.

Però qualche bel colpo lo voglio mettere a segno.

Se io definisco il ristorante nipponico sicuramente il meglio della cucina giapponese in terra bergamasca, il mio doppio mi riflette con sicuramente il meglio della cucina giapponese in terra orobica, e quando io descrivo come salmone e tonno sono declinati in diverse speziature e condimenti eccomi riecheggiare con salmone e tonno in diverse speziature e condimenti, proprio senza tanti complimenti.

Passati alla ciccia, annuncio il fiorentinissimo lampredotto dell'Osteria ecc. e il mio omozigote non può che riscrivere il fiorentinissimo panino al lampredotto ecc.

Se per me Ferrari fornisce i calici per lui li porge, e persino la scelta di accorpare in un unico paragrafo i due stand sul beverage mi viene espropriata.

Anche per lui, come per me, la Sicilia è di Tony Lo Coco de I Pupi di Bagheria - qui andiamo proprio a timbro! - e la mia voce risuona nella sua in tutto il resto della sezione.

Quando però mi tocca anche il pezzo sulla pizza - a me che sono napoletano! - il sangue mi ribolle.

Andatevi un po' a leggere come prende il mio posto quando parlo di Salvatore Salvo usando le stesse parole - a sfornarle è arrivato - e la stessa struttura della frase incidentale sullo scorso evento tenutosi a maggio, la mia fra i trattini, la sua tra parentesi.

A questo punto tutto è lecito, che importa se la mia piazzola sottostante lui la cambia appena in piazzettina, e se spaccia per farina del suo sacco la mia definizione di vera chicca  delle miasse di Farinel on the Road!

Non pensiate si sia arrivati già al fondo, eh, perché qui emerge la caratura dello scrittore e dell'uomo, e per dovizia riporto l'intero brano.

Il mio:

Chiude la rassegna salata, e apre quella dolciaria, la piccola ape del LuBar, che delizia con i suoi arancini di riso, e fa sognare con dei cannoli siciliani, purtroppo rimasti nella dimensione onirica perché finiti prima ancora che gran parte dei presenti capisse dalla mappa dove fossero collocati.

Il suo:

A chiudere il cerchio (salato) e aprire quello dolce, - e qui c'è anche un errore d'italiano grossolano, perché che il primo cerchio fosse salato lui lo ha messo tra parentesi, per cui l'aggettivo dolce non si accoppia a nulla nella frase precedente! - troviamo la piccola ape del LuBar, che offre contemporaneamente i suoi arancini di riso e dei fantastici cannoli siciliani (andati subito a ruba!), e lui di cose che vanno a ruba se ne intende, eh!

Chi pensa che gli abbia fatto il pelo provi davvero a leggere parola per parola i due testi, e scoprirà che ho tralasciato molte altre coincidenze, concordanze, copie copielle e altre furbate del quartiere.

E pensare che nella frase finale il signore parla anche di atmosfera piacevole e suggestiva di buon gusto.

Ecco, frequentarne di più, di queste serate, e imparare davvero che cos'è il buon gusto di non scopiazzare no, eh?

Ego te absolvo...

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