mercoledì 6 maggio 2015

Scrittura ed evoluzione: al meglio non c'è mai fine

Dove sta andando la scrittura?

Non parlo della capacità di mettere in parole informazioni, concetti, racconti e sentimenti, no.

Intendo proprio dire la scrittura, ossia il codice che utilizziamo per comunicare attraverso i testi.

A richiamare l'attenzione, nei giorni scorsi, un'immagine circolata attraverso la rete, di origine ispanica  anche se qualcuno in Italia l'ha fatta girare mettendoci il suo logo sopra - la puoi vedere cliccando qui - che attraverso una linea del tempo mostra le tappe della scrittura nella storia umana.

E già dire le tappe è una trappola cognitiva, perché si presuppone ci sia un percorso che parte da qualcosa per arrivare a qualcos'altro.

Così, se nel 4000 a.C. utilizzavamo le incisioni rupestri, e nel 2000 a.C. eravamo ai geroglifici, dopo essere passati attraverso segni cuneiformi, con l'anno zero si afferma la scrittura latina che però con questo secondo millennio sembra essere surclassata da emoticon e faccine che Facebook, Whatsapp e gli smartphone in genere forniscono come simboli già codificati.

Lo scopo della foto è far sorridere, perché dopo migliaia di anni spesi per arrivare alla pura astrazione alfabetica c'è questo fortissimo ritorno iconico, e ironicamente si vuole insinuare il sospetto che si stia regredendo.

Come attirati dalla carta moschicida, molti ben pensanti infatti sono andati a commentare la foto gridando allo scandalo, denunciando una perdita, esprimendo desolazione per questo che - secondo loro- sarebbe un passo indietro per l'umanità.

E tutto questo commentare è fatto nonostante si abbia davanti proprio la linea del tempo, cioè uno strumento che dovrebbe invitare a una corretta contestualizzazione storica dei fenomeni.

Ma la tentazione di fare come gli anziani, di dire ah, ai miei tempi era tutta un'altra cosa, di prendersela sempre con questi scapestrati dei giovani che non capiscono il valore dei valori, è ghiotta.

Se poi aggiungiamo che le faccine e tutto il vocabolario iconografico è di fatto determinato dalla tecnologia, ecco che si dà la stura all'ennesima sequela di commenti su come le diavolerie elettroniche ci stiano facendo degenerare.

Classica ciliegina sulla torta, i commenti negativi arrivano per lo più da persone che hanno a che fare con la scuola e l'educazione, cioè con chi questi strumenti dovrebbe padroneggiarli meglio di tutti, il che ci dà anche la misura del grado di alfabetizzazione informatica e tecnologica di maestri e professori.

In realtà, l'immagine in questione non dimostra né che stiamo andando all'indietro né che l'attuale sia peggio del passato.

Il motivo per cui non stiamo andando indietro è che non c'è un avanti e un indietro nell'evoluzione tecnologica.

Probabilmente, l'alfabeto è meglio dei geroglifici come strumento di trasmissione di dati e informazioni strutturate.

Ma gli emoticon e le faccine non si usano per informare qualcuno su quanti etti di prosciutto comprare o sul numero di pagina da studiare, non servono a dare una definizione teorica di qualcosa né tantomeno a chiedere a qualcuno la strada per raggiungerlo.

Le faccine assolvono l'importante compito di ricodificare un'importantissima funzione della nostra comunicazione interpersonale, ossia le espressioni facciali, paraverbali e non verbali in genere.

Ma che dico, di più: le faccine ci permettono di fare qualcosa che neanche dal vivo è possibile, ossia lanciare un messaggio sui nostri sentimenti.

Non che dal vivo e a parole non si possa fare, ma servono perifrasi, metafore, trasposizioni, oltre che coraggio e lucidità, tutti fattori che se non calibrati potrebbero anche rovinare il nostro messaggio.

Se proprio c'è una sorta di indietro, si tratta di un recupero di qualcosa che si era perduto: le incisioni rupestri, infatti, non avevano per niente la funzione di trasmettere dati, ma erano un atto poetico, magico, apotropaico, quindi un'espressione dell'interiorità, che sicuramente le nostre importantissime lettere fenicio-greco-romane hanno messo in pesante sordina.

Ma la faccina che ride fino alle lacrime, i cuori, i diavoletti e gli angioletti, e tutte le divertentissime espressioni che si vedono anche nell'immagine in questione, non solo sono opportune nel contesto di uno scambio tra persone, ma sono anche tremendamente efficaci.

Se i ben pensanti vogliono proprio fare gli scienziati dell'evoluzione, si rendano conto di quanto sono importanti per l'essere umano le capacità di identificazione ed empatia con l'altro, che si attuano attraverso l'azione dei neuroni-specchio: ebbene, quando si guardano la goccia di sudore sulla fronte o la lacrimona che pende dall'occhio, molto più delle parole scritte con l'alfabeto, in noi scatta un principio di assimilazione all'espressione e quindi al sentimento del nostro interlocutore.

Accenno poi al fatto che vedere in formato-faccina l'urlo di Munch o anche il classico alieno cinematografico può essere un ottimo spunto intertestuale per insegnare a chi usa questi simboli che esiste un'iconografia di riferimento mutuata dalle arti espressive che diventa simbolica, e questo sì che è uno dei fenomeni più importanti dell'evoluzione umana.

Non stiamo andando indietro, anzi, come sottolinea qualcun altro tra i commentatori, erano anni che non ci scrivevamo più neanche per farci gli auguri di Natale, anche se eravamo diventati bravissimi a scrivere complicate elucubrazioni con un lessico più unico che raro e a vomitarci addosso leggendole.

E la scrittura alfabetica resta ancora la principale e totalizzante maniera di comunicare, anche attraverso i social e i telefoni, resa più viva, più calda, più nostra grazie a questa semplice e geniale idea.

Pensare poi che il modo attuale sia peggiore di quello passato è l'effetto della solita distorsione cognitiva sulla durata e quindi l'importanza di qualsiasi fenomeno.

E qui il fenomeno sopravvalutato e distorto è proprio la comunicazione scritta.

Se estendiamo la linea del tempo, scopriamo che per arrivare a quel 4000 a.C. con le incisioni l'uomo ha dovuto attendere la bellezza di duemilionietrecentonovantaquattromila anni, e la scrittura che ai benpensanti sembra una cosa granitica e inamovibile dura da appena 6000 anni, cioè la classica cacchetta nell'universo.

All'interno di questi, ce ne sono voluti 4000 per arrivare a un uso completo della scrittura alfabetica, e l'impiego delle faccine in modo sistematico non arriva neanche a cinque anni fa, sebbene le generazioni delle lettere scritte a mano - e io ci sono rientrato - usava corredare i ti amo con i cuori trafitti e grondanti sangue.

Usando il grandangolo della storia, non esiste il meglio e il peggio, perché in gioco ci sono molteplici fattori, mai uguali, che influiscono in modo prevalentemente casuale a determinare nuove condizioni e quindi nuovi fenomeni.

Inoltre, il meglio e il peggio sono categorie morali, perciò bisognerebbe capire meglio o peggio per chi e in base a quali criteri.

Per chi vuole rimanere ibernato, le faccine e gli smartphone, così come il computer, internet, i libri digitali, le LIM, il cloud, gli ambienti virtuali, sono senza dubbio il peggio, e si sa che al peggio non c'è mai fine, così come all'evoluzione e al cambiamento delle situazioni.

Per chi invece ha voglia di esserci insieme agli altri, di vivere il mondo come un posto dove c'è spazio e dove è bello e interessante incontrare cose diverse, allora le faccine sono il meglio, e con la stessa voglia si potrà andare alla scoperta di che cosa ci riserverà la scrittura in futuro e in che modo sarà migliore per tutti noi.

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