martedì 20 agosto 2013

Come scrivere un post da 431 commenti

Quattrocentotrentuno commenti fino a questo momento, 20 agosto 2013 ore 15 circa.

156 commenti - se ho contato bene, ma se ho sbagliato è in difetto - nelle sue prime dodici ore di vita.

Questi numeri e questi tempi, per dei post e delle discussioni non banali, si vedono solo su importanti blog americani e vengono studiati dagli esperti di copywriting e web marketing.

E invece tutto ciò è accaduto il 5 agosto su Gazzetta Gastronomica, blog di Stefano Bonilli che a suo tempo diede vita a Gambero Rosso Channel, per un post a firma Tokio Cervigni che prova a fare a pezzi il  prestigio di Eataly, l'arcinoto megastore enogastronomico di Oscar Farinetti.

Troppo lungo, dispendioso e soprattutto insufficiente tentare qualsiasi riassunto del pezzo e soprattutto della discussione-fiume che ne è seguita, alla quale si è accodato un successivo post, anch'esso con un numero considerevole di commenti rispetto alla media del blog ma comunque irrisorio nei confronti dell'altro, e che ha avuto riverberi su tutte le altre testate di enogastronomia online.

Per chi si occupa di copywriting e per chiunque sia interessato alla scrittura sul web, questo è il classico case study che in Italia è un caso più unico che raro, e che tuttavia spicca proprio per la sua italianità.

Sebbene al successo della discussione abbiano concorso alcuni fattori calamitatisi a vicenda in maniera fortuita, è evidente però che il post ha fatto il botto perché corrisponde perfettamente al modello vincente del  blog post che si rivolge al pubblico giusto nel momento giusto.

Una lezione di blogging involontaria ma comunque utilissima per tutti i blogger, che si può riassumere così:


  • un buon blog post è una storia, o meglio, contiene una storia: il post in questione racconta - con un punto di vista estremamente parziale - la storia di Eataly, l'impatto che l'idea stessa di questo progetto imprenditoriale ebbe su chi - come l'autore del post - era all'epoca più che interessato ai destini enogastronomici del paese, il successo, il  - presunto - cambiamento della creatura, il lento ma inesorabile svelarsi di un destino differente da quello di partenza - proprio come nei grandi romanzi che raccontano come la personalità dei personaggi alla fine sia cambiata rispetto alle prime pagine - e le logiche strategiche che ne detterebbero le iniziative; una storia coinvolgente perché legata alla nazione, avvincente per la parabola narrata, intrigante per i risvolti che secondo alcuni sono degli delle rivelazioni stile-report e secondo altri sono invece solo un'accozzaglia di dietrologie e complottismi.
  • un buon blog post è specifico: il post di Tokio Cervigni rientra perfettamente nel tema del blog che lo pubblica, anzi, se ne ritaglia una fetta particolare, quella del tema della preservazione dei prodotti locali contrapposti ai tentativi delle grandi distribuzioni di appropriarsene e snaturarli.
  • un buon blog post si rivolge a un lettore preciso: sebbene il post a cui mi riferisco offra spunti interessanti per chiunque, è ovviamente un testo che va incontro a braccia aperte verso chiunque si interessi di enogastronomia; è abbastanza popolare per il fatto di parlare di Eataly che è aperto a tutti, e si fa appena appena settoriale quando accenna ai prodotti locali e ai produttori; dice cose significative sia per i comuni frequentatori di Eataly che per gli addetti ai lavori, giornalisti e blogger del settore compresi, i cui interventi chiaramente hanno moltiplicato a dismisura l'eco del pezzo; infine, la nicchia di appassionati-esaltati-devoti dell'enogastronomia è tra le più vaste della rete e giustamente il settore è tra quelli che ospita più blog e potenziali lettori.
  • un buon blog post contiene sempre un elemento di novità e/o di provocazione: qui novità e provocazione si uniscono, perché finora non si era mai visto un tackle del genere a Farinetti sulle pubblicazioni del settore, ed è stato ancora più divertente vederlo pubblicato su un blog come Gazzetta Gastronomica che non ha mai nascosto il suo apprezzamento per l'imprenditore di Eataly, raccontandone spesso le iniziative; chiaramente non si tratta di un attacco cieco, ma corroborato da elementi indiziari degni di approfondimento che raggiungono in pieno l'obiettivo dichiarato dall'autore: far sorgere dubbi.
  • un buon blog post sa essere attuale: è sempre possibile riattualizzare argomenti del passato e non è affatto una regola fissa quella di parlare del presente; tuttavia, parlando di Eataly e del suo rapporto con il mondo delle produzioni locali, nel più ampio contenitore dell'enogastronomia e in un'ottica polarizzante, tra i buoni che difendono i piccoli produttori e i cattivi che si accodano al grande megastore che li affosserebbe, Tokio Cervigni ha fatto tombola, perché parla dell'Italia- attraverso qualcosa di estremamente riconoscibile come nostro, cioè i prodotti enogastronomici - della sua crisi - ci sono questi prodotti, non li valorizziamo, e l'unico che lo fa mette in atto logiche descritte con la stessa luce sotto la quale siamo ormai abituati a considerare McDonald - e dello stallo nel quale inevitabilmente sembriamo condannati a rimanere, mentre il divario tra ricchi e poveri - qualsiasi cosa vogliano dire questi due aggettivi - aumenta; in pratica, il post e tutta la discussione che ne è seguita, parla di enogastronomia e politica, gli unici due temi capaci di bipolarizzare la comunicazione mediatica italiana degli ultimi anni, e con destino incrociato, poiché di cucina se ne parla a volte come della cosa più seria al mondo, mentre la politica sta a metà tra il postribolo e il Bagaglino.
Tra tutte le caratteristiche dei buoni post, solo una credo che in definitiva manchi a questo che comunque resta un caso eclatante di scrittura online italiana.

I buoni post di solito fanno alzare il lettore con la voglia di mettere in pratica quanto appreso.

Può darsi che qualcuno, dopo il post di Tokio Cervigni, senta un'irrefrenabile spinta a mettersi in viaggio nell'estrema provincia italica, a caccia di prodotti di nicchia fatti in numero così esiguo da non trovarli nemmeno e da sentirne solo parlare.

Più facile che alcune persone, dopo aver letto il post, dicano a sé stesse che Eataly con loro ha chiuso per sempre, e i più estremisti tra essi addirittura butteranno in pattumiera le ultime confezioni acquistate nel megastore.

Credo però che si tratti di persone che avevano già la stessa idea di Cervigni, o ne avevano i semi, o addirittura l'avevano sviluppata ma temevano di venire allo scoperto ed essere indicati come degli appestati.

Il post, insomma, al massimo rafforza idee che già erano nella testa dei pensanti-lettori.

E in questo, il case study è molto italiano, perché dalla discussione a tratti litigiosa e becera, pur con perle uniche di scrittura e saggezza, tutti ne escono con la stessa idea di partenza.

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