mercoledì 6 ottobre 2010

Scrivere con economia: tre principi trasversali

Le discipline a volte sembrano assomigliarsi tutte, e le regole valide in un certo campo si mostrano applicabili, ed efficaci, anche in campi affatto differenti.

Così, per chi si occupa di scrittura può essere utile e interessante attingere da altre materie, attività o arti, per scoprire i punti in comune e i possibili scambi.

Io non mi sono mai applicato molto in matematica ma la amo tantissimo, comprese le sue ramificazioni, per esempio l'economia.

Nel mio minicorso Ottimizzare tempi e fasi della scrittura ho già avuto modo di collegare scrittura ed economia, rubando alla seconda un paio di principi utili anche alla prima.

Infatti, quando dico che scrivere andrebbe considerato un lavoro e la redditività di un lavoro si basa anche sulla pianificazione e sul rispetto dei tempi pianificati mi servo di concetti economici elementari che però rendono bene l'idea.


Un altro esempio è il riferimento, all'interno del minicorso, al diagramma di Pareto e alla legge 80/20 che applico costantemente alla mia vita in generale e non solo alla scrittura (te ne parlo anche qui).

Questa legge dice che l'80 % di un risultato deriva dal 20% di tutto il lavoro svolto per ottenerlo.

Così, un commerciante "sa" qual è quel 20 % di vendite che gli garantiscono, per il valore di quei prodotti e per il prezzo, l'80 % del suo incasso, e per qualsiasi altro lavoro sarebbe possibile fare esempi di applicazione di questa legge.

A noi interessa la scrittura: in questo caso, le azioni apparentemente "piccole" come il prendere nota, ordinare le idee, scegliere la struttura del testo prima di stenderlo, o anche solo una discreta revisione dopo aver scritto, sono quel 20 % che ci garantirà l'efficacia del testo finale, almeno all'80 %.

Ma voglio parlarti di altri tre principi, che riguardano il lavoro e che puoi facilmente trasferire dall'economia alla scrittura.

Chi fa un lavoro subordinato sa che il suo guadagno è regolato da un limite minimo e un tetto massimo, dipendenti dal livello al quale appartiene.

Sa che non potrà guadagnare meno di una certa cifra, ma sa anche - purtroppo - che in quella mansione così regolamentata non potrà guadagnare di più.

Questo dipende dalla natura stessa del rapporto di subordinazione: un datore di lavoro si serve di qualcun altro per fare cose che da solo non riuscirebbe a fare, ma naturalmente al lavoratore subordinato darà solo una piccola parte di tutto il guadagno dell'azienda, una piccola parte commisurata alla piccola porzione di lavoro che ha passato al lavoratore subordinato.

Perché invece esistono professioni nelle quali i margini fluttuano e i tetti massimi possono raggiungere vette enormemente superiori a quelle di qualsiasi lavoro dipendente?

Essenzialmente ciò dipende da tre ragioni:

  1. valore aggiunto, cioè quello che il lavoratore fa contribuisce direttamente a far entrare danaro (tutti i venditori partecipano di questo principio)
  2. assunzione di rischio, vale a dire che il datore non deve nessun fisso, né salariale né previdenziale al lavoratore, tuttavia per il profitto che il lavoratore gli porterà gli corrisponderà cifre molto più alte, proprio perché non ha dovuto accollarsi il rischio (tutti i distributori di prodotti partecipano di questo principio)
  3. residualità, ossia gli effetti, in termini di profitto, del lavoro svolto dal lavoratore continuano nel tempo, senza che sia necessario ulteriore lavoro (tutti i prodotti che si vendono da sé, continuativamente nel tempo, partecipano di questo principio)
Ovvio che c'è un implicito paragone tra mercanti e scrittori, nelle mie intenzioni, ma a chi dovesse scandalizzarsi voglio dire che chi scrive e chi vende ha in comune (o dovrebbe avere, per il suo bene) un uso sopraffino del linguaggio allo scopo di colpire a livello estetico ed emotivo il possibile lettore/acquirente, quindi c'è ben poco da scandalizzarsi.

Ma non voglio suggerire un uso di questi principi finalizzato alla "commercializzazione" dello scrivere, bensì a guardare alla scrittura con un diverso atteggiamento personale.

Così, i tre principi enunciati si possono "tradurre" in questo modo, per gli amanti della scrittura:
  1. sii responsabile del valore aggiunto della tua scrittura, cioè scrivi ciò che sai scrivere, ciò che ti piace scrivere, ciò che ti appassiona scrivere, per il lettore al quale ti piace parlare, e non arrabattarti a fare testi che non ti rispecchiano, solo perché magari vanno di moda, al solo scopo di avere un briciolo di lettori
  2. assumi tutto il rischio della tua scrittura, vale a dire non sperare che il genere letterario, la tipologia testuale, il tipo di testo o di struttura, il registro o lo stile, facciano la "magia" al posto tuo, perché la "ciccia" nel testo dovrai comunque mettercela tu, e scrivere un testo formalmente corretto che però non "sa" di nulla non ti porterà lontano
  3. scrivi oggi per i lettori di domani, ossia scrivi cose che abbiano una validità nel tempo e che, agli occhi di un nuovo lettore, possano sembrare attuali anche se risalgono a mesi o anni prima, e ci riuscirai se scriverai cose che tu, in prima persona, hai ritenute necessarie
Conosci altri principi, di altre discipline, che secondo te possono funzionare anche per la scrittura? Condividili nei commenti!

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