giovedì 11 febbraio 2010

Introduzione: fai anche tu uno di questi cinque errori?


Si può?
Come vi sentite a entrare in una casa dove non siete mai stati?

Se entrando in una casa l'ospite ci fa accomodare guidandoci con pazienza e introducendoci nelle sue stanze, magari facendo le dovute presentazioni con i presenti, ci sentiamo ben accolti e a nostro agio.

E cos'è l'introduzione di un testo se non l'accoglienza benevola verso il nostro lettore e il nostro "presentargli" le parti dell'argomento da trattare?

Un po' di storia
L'introduzione non è un'invenzione moderna ma nonostante l'età continua a essere una prova difficile per chi scrive.

Nella retorica classica, gli oratori dedicavano all'arte di organizzare il discorso in parti strutturate, la dispositio, una fetta notevole del loro impegno.

L'oratore abile sapeva bene che la prima cosa da predisporre era l'introduzione di tutto il suo discorso.

I latini la chiamavano exordium ed era il tentativo dell'oratore di accattivarsi l'attenzione, la benevolentia, degli ascoltatori.

Perché serve
Anche se sono passati più di duemila anni, l'introduzione non ha perso la sua importanza né ha cambiato la sua funzione: deve mettere a suo agio il lettore e creare, se possibile, un clima di reciproca disponibilità.

Lo scrittore in realtà è il primo a giovarsi dell'introduzione: stabilire sin dall'inizio la traccia del suo percorso, i contenuti, l'angolo d'osservazione, le fonti di partenza gli rendono il lavoro più semplice.

Eppure non sempre chi scrive da la giusta importanza a questo elemento.

Ecco gli errori più frequenti.

Non farla
Questa è proprio una ca... come diceva il Trio Medusa alle Iene qualche anno fa.

Non ci vuole poi tanto, basta a volte una semplice domanda, oppure un piccolo aneddoto ma non farla è autolesionismo.

L'approccio dei lettori a un testo è fatto di gradi: il titolo spinge a leggere la prima riga, la prima riga induce a leggere la seconda ecc.

Senza introduzione i gradi saltano e il lettore si spaventa.

Farla dalla preistoria
Una mia studentessa introdusse pressapoco così un tema sul Dolce Stil Novo: Dante Alighieri è uno scrittore italiano vissuto tra il XIII e il XIV secolo...

Altre volte, ho letto introduzioni basate sulle definizioni del vocabolario, così se il tema è sull'amore lo studente esordisce affermando che l'amore è un sentimento.

Ora, va bene la precisione e il non dare nulla per scontato, ma attenzione a non diventare didascalici all'eccesso: chi scrive non abbia paura di rivolgersi a un lettore tipo, presumendo che questo lettore condivida con lo scrittore alcune conoscenze di base.

Non dobbiamo dire per forza cose semplici, dobbiamo dire in modo semplice cose significative.

Farla lunga
Una buona introduzione dura poco, l'ideale sarebbe un massimo di cinquanta parole.

Meglio ancora se divisa in "porzioni digeribili": una riga, un a capo, poi un piccolo paragrafo di poche righe.

Proprio perché dura poco, funziona meglio se in qualche modo si discosta dal vero tema trattato, così ben vengano storielle, battute, citazioni: l'obiettivo è creare clima.

Farla dotta
Mi ricordo la prima riga del testo di un mio docente universitario, è stata in parte già sottolineata l'importanza di... e seguiva col citare alcuni riferimenti bibliografici.

Con i miei compagni di Università, tutti appena immatricolati, osservavamo quelle parole come un oscuro messaggio cifrato.

Non che il significato non si capisse, non capivamo perché uno dovesse introdurre un discorso facendo riferimento a un altro discorso che non potevamo aver mai letto, essendo matricole.

Certo, all'Università c'è molta autoreferenzialità, così ben presto si impara a cavarsela anche in questi casi, a usare le fonti, le biblioteche e svelare simili arcani.

Però se questo può permetterselo - di tanto in tanto, si spera! - un docente universitario, non è detto che dobbiamo farlo anche noi.

Così, invece di riferirci a un'altra lettura, raccontiamo brevemente cosa c'è scritto dall'altra parte, se facciamo una citazione in lingua, morta o estera, aggiungiamo subito la traduzione e non diamo per scontato che il lettore la conosca: il lettore va messo a suo agio, non va costretto a documentarsi per capire cosa diciamo.

L'ideale è che abbia voglia di documentarsi alla fine, dopo averci letto.

Farla con i riempitivi
Soprattutto tra gli studenti è diffusa l'usanza di certe locuzioni pessime, come al giorno d'oggi, negli ultimi tempi, nella società attuale ecc. alle quali seguono poi considerazioni banali che non danno nessuna informazione significativa.

Se però proprio ci tenete a fare il classico "cappello" introduttivo, il consiglio è: invece di dire come stanno le cose al giorno d'oggi, diteci come stavano un tempo o come vi piacerebbe che fossero, poi regalateci l'amara verità sullo stato di cose attuali.

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